Ma allora cosa vuole il dandy? Abbiamo visto che non è attratto dal successo fine a se stesso, dal denaro, dal sesso, dal potere. che cos'è che lo smuove?. Cos'è che lo porta a vestire camicie di seta, ad ondularsi i capelli artificialmente, a disprezzare la borghesia come l'aristocrazia, ad amare l'eleganza contro la comodità, il lusso contro il comfort, a trasgredire le regole e nello stesso tempo a rispettarle sempre? La risposta è una sola: la Bellezza. L'intera sua vita è dominata da un sublime desiderio di essere sempre proiettato verso la Bellezza. Le pose innaturali, le ricercatezze, le raffinatezze, gli occasionali snobismi, le illogicità, gli eroismi, le piccole nevrosi e tutto il resto non servono a perseguire altro scopo. Il dandy insegue una bellezza platonica, esclusivamente contemplabile, rifiutando l'utilitarismo triviale del filisteo e attestando il proprio disinteressato egotismo immoralista estetico. E cerca di fare di sè stesso un'opera d'arte, in tutti i sensi. Amore della Bellezza? Non senza sapere che "la voluttà unica e suprema dell'amore riposa nella certezza di fare il male" (Baudelaire). Infatti "Non vi è nulla di sano nel culto della bellezza. Esso è troppo stupendo per essere sano" (Wilde). Ma intanto, come definiscono i dandies stessi la "bellezza"? Per un significato a livello più materiale cito De Pisis: "Si dice che uno può essere bello e non interessante o simpatico e che viceversa uno può essere simpatico e interessante senza essere bello. Sono quelle definizioni che presuppongono una grande incertezza d'idee. A parer nostro lo statuto della bellezza e della grazia è sancito da stabili leggi e, ad esempio, il verdetto di più giudici competenti in una questione di estetica sarà identico. Ciò non nega che la bellezza e la grazia possano presentarsi sotto infinite forme e gradi, e perciò attrarre anche nelle forme imperfette l'occhio dell'esteta con maggiore o minore vivacità. Socrate amava Alcibiade, ciò non gli impediva di ammirare certe graziose etere, o fanciulle". Wilde dà una spiegazione interessante, ironica, e concisa: "La bellezza è tutto ciò che non piace ai borghesi." Qualcun'altro invece generealizza: "E' bello ciò che non piace agli altri." Dalla prima, wildeiana massima, intuiamo il disprezzo del dandy verso quella classe borghese che, fin dai tempi della Rivoluzione francese premeva per avere il potere sull'aristocrazia e il clero. Ora, conoscendo il rapporto che il dandy ha coi religiosi, possiamo ben intuire che il suo disprezzo per i borghesi s'è aquito ancor di più, quando la borghesia ha deciso di tenere la Chiesa sul suo piedistallo, sbattendo invece giù la nobiltà colta e estetizzante dal suo, per farci salire la grettezza, il farisaismo, lo sciocco puritanesimo, l'amore per i soldi e l'ipocrisia della classe borghese. Nonostante poi Baudelaire abbia avuto una importante parte nei moti rivoluzionari della post-restaurazione nel 1848, si placherà quasi subito, capendo che le rivoluzioni non sono mai servite a nulla, e, anzi, scriverà che il solo governo che funzioni è quello di tipo monarchico (ma da qui vi mando alla pagina sulla politica). La seconda massima è facilmente applicabile al dandismo d'oggi, in quanto consiste nel praticare ancora un certo tipo di atteggiamenti e nell'utilizzare un certo vestiario non più alla moda, sorpassati; non trendy, non casual, non pratici, non comodi, e quindi, per tutte queste cose, giudicati dalla massa o brutti o, come anche ieri, esagerati. Ma è ovvio: l'atteggiamento del dandy, il suo stile nel vestire, è certamente 'esagerato'. Lo dicevano i borghesi romantici a Baudelaire, lo dicevano i vittoriani a Wilde, lo dicevano i nostri nonni a Cocteau... Ma, a differenza che nei tre generalizzati periodi del dandismo citati, oggi si è aggiunto anche il raro ma presente sentimento di repulsione per un certo tipo d'abito, sentimento originato da, purtroppo, una ben radicata convinzione pseudo-politica. Si veda il fenomeno dei punk, degli squatter; tra di loro, pochi ammetteranno di trovare bellezza in un abito classico; altrettanti pochi, pur pensandolo, lo negheranno; molti invece, e convinti fino in fondo, vi risponderanno negativamente. Le ideologie che controllano completamente una persona ne condizionano tutti i gusti, tutte le opinioni. "Poichè l'arte è fatta per la vita, e non la vita per l'arte" sentenzia ancora Wilde. La Bellezza si veste allora con le ricche o ascetiche vesti dell'Arte, per avvolgersi e ricoprirsene completamente. I dandies diventano così amanti del lusso (che non va confuso col comfort, ammonisce Cocteau); chi più sfenatamente, alla D'Annunzio, con la sua villa sulle rive del lago di Garda straripante di ammenicoli preziosi e meno, porcellane cinesi, mobili antichi, quintali di argenteria, una ragguardevole quadreria, e giardini immensi, vomitanti rose d'ogni specie - chi si fa portatore del lusso supremo: la rinuncia al lusso; l'insorgere della socità di massa costringe il dandy del XX secolo a interiorizzare sempre di più la sua eleganza. La Rochelle fece coincidere la sua dipendenza dalla bellezza con la cancellazione, l'austerità e la voluttà; diceva: "Ho orrore delle cose di cattiva qualità; vorrei avere solo pochissime cose, ma che fossero squisite". Infatti, secondo l'ultimo wildeiano esteta e dandy Max Beerbohm, l'intenzione del dandismo moderno è "la realizzazione dei massimi risultati con i mezzi meno bizzarri"; e, al suo occhiello oramai spoglio, la gardenia sfavilla per la sua assenza. Questa è la morte che coincide con la bellezza; ma per il dandy non è una novità: già Dorian Gray si accorse come le due cose coincidevano pericolosamente, lasciandogli ben poco spazio per respirare; ma in fondo è questo il vero obbiettivo: mettere a repentaglio la vita con il culto smodato del Bello. Il dandy ama il rischio quasi quanto ama se stesso. Jean Cocteau dedicò a Narciso queste poche ma eloquenti righe, che ci fanno riflettere sul rapporto indissolubile tra Bellezza e Morte: Colui che in quest'acqua soggiorna Smascherato, visse nel raggiro. E la morte, per scherzo, lo rigira, come il dito di un guanto, alla rovescia. (da "Poeti francesi del Novecento"; Lucarini, 1991)