Il dandy, a proprio agio nel lusso come nella povertà, disprezza immensamente il denaro. Può sembrare certo una contraddizione, ma, analizzando a fondo si troveranno ben due imponenti contraddizioni. Iniziamo con il considerare che il dandy non disprezza il denaro in sè, ma il denaro come fine. Per lui i soldi non sono che un mezzo, un tramite per avere qualcosa di ben più prezioso: la bellezza. Il dandy non desidera il denaro per averlo, come certo è proprio di molte persone, ma per poterlo spendere. Attenzione! in questo, come per altro, parlando di dandismo, bisogna eliminare il 'buon senso' tradizionale, borghese, per abbandonarci al ben più lieto e vivace 'buon senso' del dandy; se questi desidera il denaro esclusivamente per spenderlo, ciò nonostante non significa che farà qualche cosa di impegnativo per ottenerlo. Non lavorerà. O, perlomeno, tenterà di non lavorare. Se deve farlo, allora "sottrae alla vista altrui quello che la retorica del tempo ha reso osceno fino a svuotarlo di ogni contenuto." (da "Gli ultimi dandies" di G. Scaraffia). Chi andava a far visita a Baudelaire non ricorda di averlo mai visto scrivere, o di aver visto sui tavoli gli attrezzi del letterato; Whistler aveva ripugnanza per la figura dell'artista chiuso ed isolato dal mondo: organizzava così luminosi parties e ricevimenti nel suo studio di pittore, estraendo di volta in volta, compiaciuto, i suoi disegni e dipinti che come tante svolazzanti farfalle, si andavano a posare davati agli occhi degli invitati. Prima di lui, anche Delacroix aveva trasgredito il mito dell'artista ai margini della società, intrattenendo piacevolmente le eleganti signore che facevano la fila per entrare nel suo studio, dove le tele erano disposte in un ordine silenzioso, pacifico; quando l'artista vi entrava in compagnia dei numerosi ospiti, pareva che l'artista fosse entrato un momento a controllare la crescita autonoma dei suoi quadri, simili a tacite piante, che sui loro cavalletti, parevano fiori in una serra. Beardsley, invece, negò completamente la propria attività di disegnatore: nessuno lo vide mai disegnare, pochissimi riuscirono ad entrarono nel suo sancta-santorum, in cui il giovane dandy custodiva le cartelle con gli originali, e in cui si intratteneva, fino a notte inoltrata, a disegnare, sempre a lume di candela, le finestre coperte da alti e pesanti tendoni scuri. Ma non sviamo dal tema. Per definire il rapporto del dandy col denaro, può senza dubbio valere la definizione "con le mani bucate"; e questo credo riassuma perfettamente ciò che intendo dire. Secondo Baudelaire, al dandy basterebbe una rendita indefinita; a Wilde era indispensabile il superfluo; secondo Stendhal un uomo dovrebbe possedere quel minimo indispensabile per vivere e per essere indipendente da un qualsivoglia padrone; Vailland ci ammonisce dagli uomini che prelevano in banca tanto denaro, utile per la sopravvivenza e per i piaceri immediati. L'apparente contraddizione di queste posizioni non deve trarci in inganno: il minimo e l'eccesso sono i lati opposti del medesimo profilo, riassunto da D'Annunzio con: "Habere non Haberi". Ancora, quando Morand dovette rimandare una visita al Vate italiano, si vide venire incontro una barca, sul nero lago di Garda, recante un dono del poeta: un tagliacarte d'oro, con incisa la scritta: non posseggo che quel che dono. Un dandy non deve essere necessariamente ricco. Però esserlo lo aiuterebbe. Il dandy ricco - e questo è il caso di Brummel (che pure non era tanto ricco come ci si aspetterebbe), di Baudelaire, di Wilde, di Whistler, del conte Boni de Castellane (ma solo per un breve periodo), del conte de Montesquiou, di Cocteau, di Proust, di Beerbohm - è ovviamente più facilitato per il raggiungimento del suo scopo, per coltivare il proprio Io nel lusso, che il dandy povero - ed è il caso di dandy quali Beardsley ( il quale, seppur di famiglia agiata, fu costretto per un certo periodo a lavorare come assicuratore), La Rochelle (ricco e povero di volta in volta, a seconda della donna che in quel momento frequentava), Max Jacob (il quale faceva addirittura la fame, procurandosi però gli abiti costosi e raffinati su misura per gentile concessione di un cugino, sarto), Rigaut (vale il discorso di La Rochelle), e molti altri ancora. Ma, come avrete certamente notato, nessuno di loro lavorò mai o, se lo fece, certo per brevi periodi, nascondendolo. Il lavoro in quanto tale è denigrato dal dandy, come complicità con la classe al potere, come degradazione dell'individuo, come utilizzo del tempo noioso e ripetitivo. "Ercole senza impiego" (dice Baudelaire) egli non ha altra occupazione se non coltivare la propria eleganza, come il dandy dadaista senza saperlo, Jacques Vaché che, secondo Breton, si preoccupava solo di disservire con zelo al corpo militare di cui faceva parte. (ritengo utilissimo il collegamento colla pagina monografica su Jacques Vaché) La rinuncia a qualsiasi occupazione non è esente però da grosse ambivalenze: appare chiaro che, nella maggioranza dei casi, prima della scelta queste prese di posizione sono state in qualche modo imposte; imposte da quella cività che, assieme al "barbaro" e al "selvaggio", mette al margine anche il dandy, perchè non conforme alle sue regole. Così che l'ostentazione come, su altri piani, il disincanto e il disgusto, sono piuttosto a copertura di un malessere. Lasciamo la parola a Majakovskij che nella sua poesia intitolata: "All'amato me stesso dedica queste righe l'Autore" dice: "[...] Oh, s'io fossi povero come un miliardario! L'anima disprezza i soldi: un ladro insaziabile s'annida in essa. Ai desideri miei, alla sfrenata orda non basta l'oro di tutte le Californie. [...]" E Rigaut cerca un lavoro con questa inserzione: "C'è gente che fa soldi, altra che fa figli, altra che diventa nevrastenica. Ci sono quelli che fanno l'amore, altri che fanno pena. Da quanto tempo è che cerco di fare qualcosa! Non c'è niente da fare: non c'è niente da fare." E Rigaut cerca un lavoro con questa inserzione: "C'è gente che fa soldi, altra che fa figli, altra che diventa nevrastenica. Ci sono quelli che fanno l'amore, altri che fanno pena. Da quanto tempo è che cerco di fare qualcosa! Non c'è niente da fare: non c'è niente da fare."